Al Villaggio Letterario di Punta Spalmatore di Ustica presentate le opere dell’artista contemporaneo Giacomo Rizzo
Esistono molte terre, così come esistono molte isole, mentali e reali. L’insularità non è più solo una condizione geografica di separazione, è anche una condizione mentale e sentimentale che nasconde un’ambiguità dell’anima e della diversità tra il senso del lutto e della luce, tra il teatro del sole e il buio della tragedia. Allo stato attuale questa condizione va oltre il significato strettamente geografico, perché i linguaggi contemporanei attraversati dalla globalizzazione del pensiero hanno dato vita a nuove condizioni e a nuovi territori e approdi, metaforici e reali, da dove poter partire, poter tornare e restare. Il linguaggio dei luoghi e delle persone è oggi più che mai mescolato, plurale, composto da elementi di transitorietà che si fondono ad altri aspetti della cultura del territorio, nella continua I temi del viaggio, della terra, come la continua corrosione delle sue coste, plasmate dal vento e dell’acqua, lo stesso le persone cambiano i sentimenti, le passioni che mutano o si deteriorano. I soggetti si intrecciano all’interno di un percorso espositivo transdisciplinare di installazioni site specific, tra la scultura di Giacomo Rizzo e la musica, il video, la fotografia, la performance, l’archeologia, l’antropologia e la letteratura. La politica culturale dello scambio di informazioni, della condivisione e dell’interazione, determinando un work in progress artistico, estetico e virtuale che darà spazio ad un concetto identitario più ampio in rapporto all’idea di mappa e di territorio.
Qualcosa sull’attitudine di artista/scultore:
“Mi piace catturare lo spirito delle cose, sottrarle al loro contesto, ridare loro una nuova vita. Per questo motivo ho dedicato gli ultimi anni della mia ricerca, con rigore analitico e quasi religioso, alla riflessione sulla pratica della scultura. Ho lavorato nel riprodurre frammenti di natura come tronchi, campi arati e in special modo brani di monti “sacri”.Questo mio tentativo di voler presentare -e non rappresentare- frammenti di natura mi ha portato a confrontarmi, tramite una mia opera, “Respiro” (2014/2015), con Monte Pellegrino, la montagna “sacra” di Palermo, città dove vivo e opero. La scultura è il calco di un frammento del pendio che decontestualizzata, guarda in direzione del mare e che ho poi trasformato, con una speciale armatura e struttura, in un elemento fruibile nello spazio in cui la sensibilità pittorica, di monocromo e disegno tra la dimensione
geometrica e informale è molto evidente. Quest’ installazione, gesto scultoreo, è stata poi collocata su una spiaggia a Castel di Tusa presso la Fondazione Fiumara d’Arte, evento ideato e promosso dal Museo d’Arte Contemporanea Regionale della Sicilia, Palazzo Riso. Questo mio strappo della natura dalle dimensioni di 300×200 cm in vetroresina, era direzionato a mettere lo spettatore di fronte ad una montagna sacra. Considero come madre e padre di una spiritualità sepolta ma mai abbandonata, montagna che cerco di riportare ad una seconda vita in virtù del suo senso religioso, antropologico, culturale, apotropaico”.
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